I colossi di Memnone che cantano all’alba

L’Egitto è una terra misteriosa e affascinante che sembra intessuta di misteri e segreti aviti. Una delle molte meraviglie dell’Antico Egitto oggi è poco più che una rovina decadente, che non cessa però di conquistare i visitatori che, pur diretti verso altre mete più prestigiose, non mancano di spendere qualche tempo presso i colossi di Memnone, le statue del faraone che, secondo la tradizione, cantavano all’alba.

Il faraone Amenhotep III

Memnone
Fonte: www.thenotsoinnocentsabroad.com

Tanto per cominciare chiariamo subito la prima anomalia che si rivela parlando di queste statue alte circa 20 metri. Sono note ormai come “Colossi di Memnone”, ma colui che ritraggono è il faraone Amenhotep III. Non che faccia grande differenza, visto che i tratti del volto sono del tutto cancellati. C’è però un motivo molto preciso per questo cambio di denominazione, che scopriremo più avanti. Intanto raccontiamo il modo in cui queste magnifiche opere d’arte sono state costruire, e perché il tempo (ma non solo, come vedremo) è stato così impietoso con loro.

Dobbiamo fare un salto indietro di 3500 anni. Siamo nel XIV secolo avanti Cristo ed è il faraone d’Egitto Amenhotep III, detto da molti il re Salomone egizio per la sua grande saggezza. Il suo regno fu prospero, illuminato e ricco, tanto che il sovrano si fece costruire un mausoleo che ne tramandasse il nome per i secoli dei secoli. Si dice che il tempio di Amenhotep fosse più imponente del tempio funebre di Hatshepsut e persino di quello di Karnak: solo che oggi non ne resta nulla.

Il faraone volle che venisse costruito lungo la riva occidentale del fiume Nilo, nelle vicinanze di Tebe, allora capitale dell’impero, oggi Luxor. Questo luogo era soggetto periodicamente alle inondazioni del fiume Nilo, che con il tempo ha cancellato ogni ricordo di quella trascorsa magnificenza. Sono rimaste solo le due statue colossali che, con ogni probabilità, facevano la guardia al complesso. Anche le statue, che restavano sott’acqua per poi riemergere in segno di rinascita, sono state fortemente danneggiate.

Il terremoto e la voce

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Fonte: Atlas Obscura

Accadde nel 27 avanti Cristo che in questa zona ci fosse un terribile terremoto, talmente potente da riuscire a spezzare a metà uno dei due colossi, quello che si trovava più a nord. La parte superiore della statua cadde e da quel momento ebbe inizio uno strano fenomeno che portò alla nascita della leggenda dei “Colossi di Memnone”. Di base c’è un fatto, testimoniato anche da storici e studiosi del mondo antico. La statua spezzata, ogni mattina all’alba, cantava.

Emetteva un suono che alcuni paragonavano a quello di una corda di lira che si rompe. Era sottile, ma ben udibile. Testimoniano questo fatto Strabone, Polibio, Plutarco. In breve la notizia si diffuse e anche gli imperatori romani si recarono fino in Egitto per sentire quella voce antica. Si pensava che fosse un oracolo, e che chi ascoltava con attenzione potesse trovare risposta alle sue domande più pressanti.

Perché Memnone, dunque? Memnone era un eroe della guerra di Troia, figlio della divinità greca Eos, la dea dell’alba. Si narra che Memnone combattesse per i troiani e che venisse ucciso in battaglia dal prode Achille. Sua madre pianse apprendendo della morte del figlio, e le sue lacrime divennero la rugiada mattutina. Così, la voce che veniva dal colosso era il lamento di Eos, o forse la voce del figlio che invocava la madre.

Il suono del silenzio

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“I colossi di Memnone” di by Hubert Sattler – Fonte: Ancient Origins

Se stai pensando che ti piacerebbe ascoltare la voce dei colossi di Memnone, dobbiamo darti una brutta notizia: essi oggi sono silenziosi. Intorno al 199 dopo Cristo l’imperatore romano Settimio Severo visitò l’Egitto e si beò della vista delle statue colossali. Voleva udirne la voce, ma non ebbe questa sorte. Però decise lo stesso di fare qualcosa, e promosse il restauro del colosso spezzato. I lavori non solo non restituirono all’opera l’antico splendore, ma gli tolsero la voce.

Da allora, infatti, il colosso non canta più all’alba. Ancora oggi gli studiosi si interrogano su quel fenomeno così abbondantemente testimoniato. La spiegazione più comunemente accettata è che le pietre spezzate (le statue sono in arenaria di quarzite) evaporassero al mattino provocando quel suono al cambio di temperatura tra la notte e il giorno. C’è chi invece ipotizza che l’effetto fosse voluto, dato da qualche particolare tecnica costruttiva adottata.

Integri, i colossi dovevano essere veramente imponenti. Dipinto in bianco, giallo, rosso, blu e oro, pesano circa 720 tonnellate. Le cave in cui, secondo alcuni, furono scolpiti per poi essere spostati, distano da Luxor poco meno di 700 chilometri di distanza. La loro costruzione, così come accade per tutte le altre grandi opere egizie, ci lascia ancora oggi basiti. Ed è un vero peccato che non possiamo più udire quella voce lontana. C’è chi pensa che il suono fosse un trucco dei sacerdoti egizi: ma forse era l’eco di una memoria lontana ancora custodita nel sottosuolo dell’Egitto e nelle acque del suo fiume.

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