Le iscrizioni di Glozel: un mistero mai svelato

La storia che stiamo per raccontarti potrebbe essere un giallo, e per molti versi lo sembra. Infatti è lunga e intricata, coinvolge molte persone, ognuna delle quali voleva rivendicare la sua verità. Parliamo dei reperti archeologici trovati nella cittadina francese di Glozel. Questa vicenda è stata definita da alcuni l’affare Dreyfus dell’archeologia e resta avvolta nel mistero ancora oggi. Nonostante siano state scoperte circa un secolo fa, nessuno ha mai decifrato le iscrizioni di Glozel.

Glozel

Fonte: prefixesmom.hypotheses.org

Glozel è un piccolo villaggio non distante da Vichy, nella parte meridionale della Francia. Siamo nel 1924 e questa parte del Paese era ancora profondamente rurale. A Glozel viveva un giovane di nome Emile Fradin, che all’epoca aveva 17 anni. Il ragazzo stava arando un campo con l’aiuto dei buoi quando uno degli animali inciampò in qualcosa. Si trattava di una camera sotterranea, rivestita di piastrelle, al cui interno c’erano svariati reperti tra cui pezzi di terrecotte, ceramiche, vasi, e tavole con delle iscrizioni sopra.

Fu così che ebbe inizio una delle scoperte più stupefacenti della storia dell’archeologia, sulla quale però permane ancora oggi un funesto dubbio. Si trattò di una scoperta genuina, o di un’elaborata truffa? Ma andiamo per ordine. Intuendo di aver trovato qualcosa di significativo, il giovane Fradin chiamò suo nonno, che a sua volta convocò persone di spicco del paese, che potevano capire qualcosa di più di un semplice contadino circa quei ritrovamenti.

Il primo a recarsi sul posto e ad interessarsi dei reperti e delle iscrizioni di Glozel fu un insegnante del posto, Adrienne Picandet. Fu questi che decise di convocare funzionari più alti in grado. A proseguire però fisicamente gli scavi, in quei primi momenti, fu un altro insegnante del posto, Benoit Clement. Clement, insieme ad un suo compagno di cui le cronache riportano solo il nome, Viple, ritenne che il sito fosse di epoca gallo-romana, e di nessuno o scarso interesse.

Antonin Morlet

Fonte: pentad.ru

Accade però che la notizia dei ritrovamenti di Glozel comparisse, nel mese di gennaio del 1925, sulla rivista della Societe d’Emulation du Bourbonnais. Ciò attirò l’attenzione di Antonin Morlet, che faceva di professione il medico a Vichy ma si interessava anche di archeologia, specie gallo-romana. Questi visitò il sito, pagando Fradin per avere il permesso di proseguire con gli scavi. Si convinse che i reperti fossero molto più antichi e li datò al Neolitico, tra 12.000 e il 9.500 avanti Cristo.

Le rivendicazioni di Morlet ben presto raggiunsero gli ambienti accademici sollevando un polverone. Il dottore aveva trovato molti altri oggetti interessanti, e tra di essi una ceramica su cui era raffigurata, a sua detta, una renna. Le renne erano sparite da quella regione della Francia all’incirca 10.000 anni prima di Cristo. Ergo, ciò avrebbe confermato la datazione data da Morlet. Che chiese il supporto di importanti accademici per confermare le sue rivendicazioni.

Si recò a Glozel il famoso archeologo Abbé Breuil, che si disse “impressionato” dall’enormità della scoperta. Poi fu la volta di André Vayson de Pradenne, esperto di preistoria. Questo fu l’inizio dei guai. Erano già circolate voci che tutti i reperti trovati a Glozel fossero dei falsi. Vayson aveva cercato di comprarne alcuni da Fradin, che però si era rifiutato di vendere, e forse per vendetta cercò di cambiare l’attitudine positiva di Breuil. Riuscendoci.

L’ispezione

Fonte: pentad.ru

La faccenda aveva ormai assunto contorni che non potevano essere ignorati dagli ambienti accademici. Il 5 Novembre del 1927 una commissione di esperti giunse a Glozel per decidere se il sito era genuino o meno. Nel frattempo, Morlet aveva scavato 3000 oggetti, tra cui un centinaio di tavolette su cui vi erano delle iscrizioni. Tali iscrizioni non sembravano appartenere a nessuna lingua antica conosciuta, tranne che per qualche vaga rassomiglianza con il fenicio. Ipotesi che venne ritenuta impossibile.

Durante l’ispezione accadde un fatto increscioso: Dorothy Garrod, che faceva parte del team di esaminatori (e che era stata studentessa di Breuil) fu colta a cercare di manomettere il sito. La questione fu però archiviata come un incidente. Le conclusioni a cui giunsero gli studiosi in quel frangente fu che tutto era stato solo un clamoroso abbaglio, preso da un contadino ignorante (Fradin) e da un archeologo dilettante (Morlet). Glozel era solo una frode, non vi era nulla di importante e tantomeno di vero.

René Dussaud e le iscrizioni di Glozel

Fonte: pentad.ru

Ma la parte peggiore doveva ancora cominciare. A questo punto appare sulla scena un nuovo personaggio, un nuovo e potente personaggio, diremmo anche. Parliamo di René Dussaud che era all’epoca curatore del museo del Louvre, nonché uno stimato epigrafista. Dussaud si interessò alle tavole con iscrizioni rinvenute a Glozel, ma al solo fine di gettare discredito su di esse. Se fossero state autentiche, avrebbero confutato il suo lavoro di una vita. Per tutta risposta, Fradin, che non ci stava a passare per truffatore, denunciò Dussaud per diffamazione. Una vera lotta di Davide contro Golia, che in modo sorprendente fu vinta proprio da Davide, ovvero da Fradin.

Morlet intanto continuava i suoi scavi, che terminarono solo nel 1938. Ad un certo punto fu riconosciuto che il sito era Neolitico, per quanto molti oggetti rinvenuti avessero datazioni più recenti. Però non è mai stato pubblicato un resoconto esaustivo degli studi di Morlet. Dal 1942 il governo francese vietò scavi privati. Per cui più nessuno indagò su Glozel fino al 1983. Anche di questa campagna di scavi si sa poco o nulla. Esiste solo uno scarno report di 15 pagine pubblicato molto dopo, nel 1995.

Emile Fradin è morto nel 2010, alla veneranda età di 103 anni. Con lui è morta la possibilità di avere la parola definitiva sul “caso Glozel”. Si trattava solo di un’elaborata truffa archeologica? A dire il vero, sembra davvero difficile credere che un ragazzotto di campagna avesse potuto creare da solo quella mole di reperti. L’autenticità del sito sembra essere stata provata, ma non la sua effettiva vetustà.

La verità nascosta dalla “scienza”

Fonte: pentad.ru

Ripercorrendo il racconto delle vicissitudini del sito e delle strane iscrizioni di Glozel (che, ad oggi, restano indecifrate, lo ricordiamo) appare chiaro che la cosiddetta “scienza ufficiale” abbia fatto di tutto per screditare un sito su cui non poteva mettere la sua ipoteca, e che soprattutto metteva in dubbio alcune verità credute assolute. La presenza dell’alfabeto fenicio, o di un suo antenato, in un luogo dove, secondo le ricostruzioni correnti, i fenici non sono mai arrivati, creava troppo imbarazzo, troppe domande.

Una serie di ripicche, rivendicazioni e insabbiamenti hanno impedito di condurre studi davvero seri su Glozel, che semplicemente è stata ignorata per quasi cento anni con l’affermazione che “è tutto falso”. Ma nessuno si è preso davvero la briga di verificare a mente sgombra e senza preconcetti. Il caso Glozel viene oggi considerato in due modi: o una delle più complesse truffe perpetrate ai danni del mondo accademico, o la più clamorosa occasione persa per via della chiusura mentale di chi non è in grado di rimettere in discussione le sue credenze.

Fonti:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *