La Cueva de los Tayos e la sua biblioteca perduta

Sul fondo di una vallata asciutta, ma proprio nel bel mezzo della foresta pluviale, in Ecuador si trova un complesso di caverne magiche e misteriose. I locali lo chiamano Cueva del los Tayos: il nome viene dai tayos, ovvero i guaciari (Steatornis caripensis), uccelli notturni che le popolano. Cosa hanno di particolare queste grotte? Che a partire dagli anni Sessanta sono oggetto di una narrazione che alcuni ritengono favolosa, ed altri preludio di eccezionali scoperte che qualcuno vorrebbe occultare.

La Cueva de los Tayos: János Juan Móricz

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Fonte: aminoapps.com

La popolazione locale di questa zona dell’Ecuador, che si trova ai piedi delle Ande, si chiama Shuar e sicuramente sa dell’esistenza delle caverne da secoli. Le prime testimonianze scritte che le riguardano, però, risalgono solo al 1860. Se ne iniziò a parlare con maggiore insistenza solo in tempi più recenti, a partire dagli anni Sessanta e a seguito della spedizione di János Juan Móricz (1923–1991).

Móricz era un politico ungherese che durante la Seconda Guerra Mondiale, perseguitato dai comunisti per le sue idee, si trasferì a vivere in Argentina dove acquisì la nazionalità americana. Móricz era anche un appassionato di antropologia e di lingue antiche, e venuto in contatto con gli Shuar dell’Ecuador (che all’epoca si facevano chiamare Jivaro) si incuriosì al punto da voler esplorare la Cueva de los Tayos.

Nel 1969 depositò presso un notaio la testimonianza della sua spedizione, rivendicando per se stesso la scoperta delle grotte stesse. Successivamente organizzò una seconda spedizione, che venne finanziata dal governo. Con lui portò molti altri esploratori in un nutrito gruppo che aveva uno scopo: trovare la biblioteca di metallo che secondo l’ungherese era celata nel vasto sistema di grotte.

Erich von Däniken

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János Juan Móricz e Erich von Däniken

Le teorie che Móricz voleva dimostrare potevano anche sembrare fantasiose ai più, ma la cosa certa era che aveva le idee molto chiare. Infatti sosteneva che le caverne, che si dipanavano per chilometri dopo l’ingresso principale alla Cueva, erano state scavate da mano umana. Più esattamente, da un’antica civilizzazione che aveva anche lasciato reperti in oro, e soprattutto lastre metalliche. Esse avrebbero costituito una vera e propria biblioteca, che però non fu trovata con la seconda spedizione.

L’interesse sollevato dalle affermazioni dell’esploratore, però, avevano attirato l’interesse di Erich von Däniken, scrittore svizzero conosciuto il tutto il mondo per le sue teorie sugli extraterrestri. Nel 1972 Móricz e von Däniken si incontrarono, e da quell’incontro nacque il volume “L’oro degli dei”. Quindi la curiosità nei confronti della Cueva de los Tayos stava montando sempre più, al punto che si decise di organizzare un’ulteriore spedizione, a cui però Móricz non partecipò.

A guidare il team era un ingegnere britannico, Stanley Hall, e nel gruppo c’era anche Neil Armstrong, l’astronauta che qualche mese prima aveva messo piede sulla Luna. Móricz si dimostrò molto scettico circa la loro possibilità di successo, e infatti il tutto si concluse con una smentita di qualunque affermazione fatta nel libro “L’oro degli dei”. La Cueva de los Tayos non è che una grotta sotterranea, lunga appena 5 chilometri, del tutto naturale, senza alcun tesoro nascosto al suo interno.

Padre Carlo Crespi

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Fonte: mysteria.netsons.org

Quando lo intervistarono e gli chiesero cosa ne pensasse del flop della spedizione britannico–ecuadoriana, Móricz non si scompose. Disse che non gli importava se gli davano del bugiardo, perché lui sapeva bene cosa aveva visto. E ad avvalorare le sue parole c’è un altro uomo che non
era solo convinto che dentro la Cueva de los Tayos erano custoditi reperti straordinari: lui li aveva addirittura collezionati in un museo.

Parliamo di un padre salesiano chiamato Carlo Crespi Croci, missionario per circa 50 anni in Ecuador. Crespi (1891 – 1982) negli anni Sessanta chiese e ottenne dal Vaticano il permesso di inaugurare un piccolo museo presso la scuola salesiana della cittadina ecuadoriana di Cuenca. Qui mise in mostra la sua collezione, fatta dei reperti che, a sua detta, gli erano stati donati dagli indigeni come ringraziamento per il suo servizio alla comunità.

Si trattava di oggetti provenienti dalla Cueva de los Tayos: lastre incise con scritture sconosciute, ma che agli occhi del sacerdote erano straordinariamente simili a quelle babilonesi e sumere. Per dirla in modo semplice: quei reperti avrebbero testimoniato un forte legame tra le Americhe e il Medio Oriente e il remoto Est del mondo. Avrebbero provato l’esistenza di un’unica, grande civiltà comune.

Questa era dunque la biblioteca di metallo di cui avrebbe parlato di lì a poco Móricz. Solo che il museo di padre Crespi ebbe vita breve. Fu bruciato e gran parte di quello che vi era conservato andò distrutto. Il resto sparì piuttosto misteriosamente alla morte del religioso. Molti sono convinti che i reperti restanti siano stati portati in gran segreto al Vaticano, dove ancora si trovano.

Le ultime spedizioni

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Fonte: www.bbc.com

Anche in anni recenti sono state tentate delle spedizioni esplorative all’interno della Cueva de los Tayos, che però non sembra più disposta a dischiudere i suoi misteri agli occhi dei profani. Pare anche che gli Shuar facciano buona guardia. Secondo la loro versione, padre Crespi non ebbe in dono gli oggetti che raccoglieva, ma li aveva rubati. L’oro con cui venne eertta la Cattedrale di Cuenca proverrebbe infatti dalle razzie effettuate nella Cueva.

Per gli Shuar le grotte sono sacre; secondo Móricz esse si dipanavano per chilometri e chilometri, fino a raggiungere l’altra parte del mondo. Purtroppo non esistono più testimonianze di quanto davvero l’uomo avesse visto dentro quelle caverne. Forse celeranno i loro tesori fino alla fine dei tempi; o forse un giorno l’uomo sarà di nuovo pronto per scoprirli e usarli saggiamente.

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