L’Arca di Noè: se è davvero esistita e dove approdò

Dal capitolo 6 del Libro della Genesi, uno dei molti che compongono il libro sacro per Ebrei e Cristiani, la Bibbia, si racconta la storia di Noè. Noè era un uomo giusto, nato dalla discendenza di Adamo quando ancora i giganti camminavano sulla Terra. Dio decise di sterminare l’umanità da lui creata, in quanto si comportava in modo iniquo. Lo fece mandando un grande Diluvio: ma Noè e i suoi figli si salvarono perché Dio fece costruire loro una grande Arca. Quell’Arca è davvero esistita? E se la risposta è si, dove approdò e dove possiamo cercarla ancora oggi?

La Bibbia: la Genesi

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“L’Arca di Noè”, Roelant Savery, 1628 – Fonte: Wikimedia Commons

Nel corso dei secoli, le ipotesi sul luogo dove possa essere approdata l’Arca di Noè (dando ovviamente per scontato che sia davvero esistita) sono state numerose. Ogni ricerca degna di questo nome non può che basarsi sulla testimonianza principale del suo viaggio, ovvero la Bibbia. Nella Genesi non solo si danno, in modo particolareggiato, le dimensioni dell’Arca (300 cubiti, la larghezza 50 e l’altezza 30).

Si racconta anche che il Diluvio durò 40 giorni. Quando la pioggia smise di cadere, ci vollero però 150 giorni prima che le acque si ritirassero. Al capitolo 8 si dice “Ai diciassette del settimo mese l’Arca si fermò sulle montagne dell’Ararat.” Ancora però Noè e i suoi non scesero: le acque continuarono ad abbassarsi “fino al decimo mese”. La terra era asciutta “il 27 del secondo mese”. Solo allora Dio disse a Noè che poteva scendere dall’Arca, che nel frattempo era stata “scoperchiata”.

Fin qui sembrerebbero non esserci dubbi: il testo è chiarissimo e dice che l’Arca è approdata sul Monte Ararat, che si trova in Turchia e che misura oltre 5000 metri di altezza. Infatti la maggior parte degli esploratori che si sono avventurati alla ricerca dell’Arca hanno scalato queste inaccessibili vette. Ancora oggi c’è chi è convinto che i resti dell’Arca si possano trovare sull’Ararat.

In passato sono stati annunciati molti ritrovamenti clamorosi, tra i quali un ambiente in legno, diviso in scomparti, del tutto compatibile con le descrizioni dell’Arca. Sono però molti di più coloro che negano recisamente che l’Arca di cui si parla nella Bibbia sia la montagna turca: si ritiene che il termine si riferisca piuttosto ad una regione dell’Armenia non distante dall’omonima montagna. A favore di questa ipotesi deporrebbe un fatto geologico innegabile: il monte Ararat, che ha origine vulcanica, si sarebbe formato ben dopo il Diluvio.

Mesha-Naxuan

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Fonte: dailymysteries.com

Se invece prestiamo ascolto alle tesi di David Allen Deal, autore del libro “Noah’s Ark—The Evidence: The Bible, The Flood, Gilgamesh & The Mother Goddess Origins”, ci sarebbero molte più evidenze del fatto che la biblica Arca approdò nella regione dell’Ararat, e più precisamente su un monte di poco più di 2000 metri dove sarebbe anche possibile apprezzare l’effetto dello slittamento che, a causa di un terremoto, la grande imbarcazione subì circa 100 anni dopo essersi arenata.

Un’ulteriore prova a favore del fatto che difficilmente il monte Ararat avrebbe potuto rappresentare l’ultimo approdo di Noè è che il vegliardo, che stando al racconto biblico aveva 600 anni e non era certo uno sprovveduto, non si sarebbe mai sognato di sbarcare su una vetta di oltre 5000 metri. Molto meglio scegliere un luogo, per così dire, un pochino più comodo: e per dire questo basta usare un po’ di buon senso.

L’altra località indicata come possibile approdo dell’Arca si trova a 17 miglia a sud del monte Ararat, dove secondo Deal venne costruita la prima città post-diluvio chiamata Mesha-Naxuan. Pare che il nome della località sia un “nome parlante”: Mesha infatti vuol dire “tirato fuori dall’acqua” mentre Naxuan potrebbe essere un’interpretazione greca dell’ebraico e vorrebbe dire semplicemente “la città di Noè”, nome con cui divenne nota in seguito.

Non a caso, inoltre, Mesha ricorda il nome di Mosè, un altro personaggio che fu “salvato dalle acque”, e quello di Gilgamesh, protagonista di un’epopea sumera in cui si parla del grande diluvio e il cui nome vorrebbe dire “colui che ha rivelato Mesha”. Nell’epica di Gilgamesh, inoltre, si parla delle “mura del paradiso”, sul monte Mesha, che corrisponderebbero alla conformazione geografica della montagna individuata da Deal.

Evidenze dell’Arca di Noè

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Fonte: dailymysteries.com

Deal si recò personalmente sul sito di Mesha-Naxuan, trovando delle indicazioni geomorfologiche che confermerebbero la sua identificazione. Vi è infatti, a oltre 2000 metri sul livello del mare, un costone che sarebbe compatibile con lo slittamento di una grande chiglia di nave. Inoltre, questo luogo corrisponde alla descrizione delle “mura del Paradiso”. Però non ha trovato altro.

Si potrebbe obiettare che, se davvero l’Arca è approdata qui, allora dovrebbero essercene dei resti. Basta ragionare un attimo per capire che invece è assai più probabile che resti non ve ne siano. Non solo per l’ovvio motivo che l’Arca era in legno, e il legno in tutti questi millenni si è di certo degradato. Bisogna tener conto anche del fatto che è fondata ipotesi ritenere che il legno dell’Arca fu usato per costruire le case di Mesha-Naxuan.

Le tesi di Deal, ad ogni modo, non sono universalmente condivise. C’è chi identifica ancora l’arca sul monte Ararat, chi dice che si trovi in Iran, e chi liquida tutta la faccenda dicendo che molto più semplicemente non è mai esistita. L’aspetto interessante della ricerca di Deal è che collega il luogo di approdo dell’Arca con una figura femminile molto interessante, quella di Noema, discendente della linea di Caino.

Noema era molto probabilmente a bordo dell’Arca, e la sua figura avrebbe poi dato origine a quella di tante altre dee che hanno costellato la storia dell’uomo, dalla Nammu dei sumeri fino ad Isis e Atena. La storia dell’Arca, quindi, traccia una storia che risale a prima del Diluvio, alle origini stesse dell’Umanità. Forse non troveremo mai l’Arca, ma è dalla sua pancia che siamo scesi tutti noi.

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