I mosaici di Mitla: decorazioni o linguaggio in codice

Nel suo libro “Atlantis: the Antediluvian World” Ignatius Donnelly, tra le varie illustrazioni che sceglie per avvalorare le sue ipotesi, seleziona il disegno di uno dei mosaici di Mitla. Si tratta di una mirabile opera antica il cui scopo non è del tutto chiaro. Ci si chiede infatti se siano i mosaici di Mitla decorazioni o linguaggio in codice ancora da capire.

Mitla o Lyobaa

Mitla
Fonte: uncoveredhistory.com

Il sito archeologico di Mitla si trova nella zona sud occidentale del Messico. L’area in cui si trova corrisponde all’attuale stato di Oaxaca. Qui fiorì una civiltà precolombiana che in seguito fu assoggettata agli Aztechi: gli Zapotechi. Mitla era una delle loro città più importanti, e lo dimostra l’opulenza degli edifici e delle decorazioni.

Il nome zapoteco del sito era Lyobaa, che voleva dire “luogo del riposo”. Questo perché sostanzialmente si trattava di una cittadella funebre, dove si compivano i riti di inumazione e venivano seppelliti i morti. Gli Zapotechi sfruttarono Mitla come centro religioso e liturgico per i primi nove secoli dopo Cristo, fino all’arrivo dei Mixtechi. In seguito, nel XVI secolo, sul luogo arrivarono gli spagnoli e i missionari.

Accanto agli antichi edifici di culto degli Zapotechi venne eretta la chiesa di San Pablo. L’intento era, evidentemente, quello di soppiantare gli antichi culti con la religione cristiana. In seguito fu costruita anche una seconda chiesa, quella di San Francesco, che fu realizzata nel luogo in cui, secondo gli Zapotechi, c’era l’ingresso al regno dei morti. Era quindi un modo per “sigillare” quel passaggio per sempre.

Tutto il complesso di Mitla è estremamente affascinante ancora oggi. Si compone di quattro gruppi di edifici (originariamente cinque, uno è andato distrutto). Sono detti “Grupo de la Iglesia”, “Grupo del Arroyo”, “Grupo del Adobe” e “Grupo de las columnas”. Oltre all’imponenza delle costruzioni, quello che colpisce è soprattutto la loro decorazione.

Quegli strani mosaici

Mitla
Fonte: Pinterest

Sulle pareti interni, su quelle esterne, sulle porte, nei corridoi, si trovano realizzati degli incredibili lavori che definire “mosaico” è un po’ improprio. Il termine esatto è in inglese, “step-fret”, e assomiglia molto ad una greca. Si tratta di centinaia di migliaia di listelli in pietra che venivano disposti a formare dei motivi geometrici ripetuti in una modalità che ha tutta l’aria di voler dire qualcosa.

Ci sono sei differenti disegni che vengono ripetuti in bande orizzontale di tre strisce. Si tratta di motivi che ricordano serpenti, onde, spirali rettangolari. Da lontano potrebbe sembrare che ogni tassello sia stato fatto usando uno stampo e poi del gesso. Da vicino ci si avvede che la tecnica usata è molto più complessa. Infatti ogni tessera è stata incisa nella pietra, e poi incastrata con precisione millimetrica alle altre.

Non è che gli Zapotechi non avessero alternativa: conoscevano l’uso degli stampi, ma hanno preferito questa ben più onerosa opzione deliberatamente. Questo non implica solo un grande dispendio di energia, ma anche costi molto elevati. Per questo qualcuno ipotizza che le decorazioni non abbiano solo scopo estetico, ma che possano essere una sorta di linguaggio in codice.

L’ipotesi più accreditata è che la complessa copertura ornamentale degli edifici fosse uno sfoggio di lusso e potere, un modo per le famiglie importanti della civiltà zapoteca di far conoscere il loro potenziale. Molti dei simboli che ricorrono lungo le pareti di Mitla però ricordano anche altri motivi decorativi diffusi in po’ in tutto il mondo, aprendo la strada alle teorie di Ignatius Donnelly.

Un codice antico

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Fonte: www.bluffton.edu

I disegni usati a Mitla sono molto simili a quelli che troviamo anche su edifici greci, romani, egizi o mesopotamici. Le forme ricorrenti sono quella rotonda, che dovrebbe simboleggiare il mondo o l’universo. C’è poi il serpente, simbolo universalmente riconosciuto di grande significato religioso. Ci sono le onde, o scale, che potrebbero indicare la discesa all’altro mondo. Curiosamente, la scala ha 5 gradini, come i pianeti visibili.

Donnelly si limita a dire che la ricorrenza di certi motivi decorativi in molte parti del globo all’interno di civiltà antiche, come quella zapoteca a Mitla, non è casuale. Deve essere un retaggio della comune matrice atlantidea. Noi aggiungiamo che anche la simbologia usata (il serpente, le onde) ricordano quel che sappiamo di Atlantide così come descritta da Platone.

Qualcuno si spinge ancora oltre, non escludendo che tutto il complesso decorativo di Mitla sia in realtà un enorme codice cifrato che attende ancora di essere letto. Possibile che gli Zapotechi si siano dati tanto da fare, che abbiano impiegato tanto lavoro, solo per l’opulenza della loro città dei morti?

Forse quelle pareti sono un libro a cielo aperto che noi non siamo più in grado di leggere. E la ricorrenza dei simboli, il modo in cui sono disposti, il modo in cui vengono combinati fa in effetti pensare ad un sofisticato gioco di enigmistica di cui abbiamo perso la chiave di lettura.

Il mondo dei vivi e dei morti

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Fonte: www.ancient-origins.net

Mitla è, nel suo complesso, un luogo di grande fascino. Non la si deve pensare come una necropoli: negli splendidi palazzi in superficie vivevano le famiglie nobili. Sotto la superficie si estendevano invece (almeno a seconda delle testimonianze dell’epoca dei Conquistadores) un complesso reticolo di tombe oggi non più accessibile.

Come spesso accadeva nelle antiche civiltà, il mondo dei vivi e il mondo dei morti non erano separati in modo netto come accade oggi. I defunti non venivano confinati in luoghi distanti dalla vista, ma si conviveva con essi quotidianamente. A volte c’era chi implorava di poter passare la porta per Lyobaa ancora da vivo.

Chissà quindi che i complessi motivi ornamentali non siano le formule necessarie per aprire quella porta, una sorta di “libro dei morti” scritto su pietra. Per avvalorare questa ipotesi sarebbero necessarie altre scoperte che forniscano gli indizi per la decifrazione. E visto che di sorprese dal passato ne riceviamo spesso, non è detto che ciò non possa accadere.

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